giovedì
22 MarL’analfabetismo finanziario si combatte con l’insegnamento, ma pure con un fai da te “razionale”
Qualcuno non più tardi di una decina di anni fa sosteneva che un popolo di risparmiatori come quello italiano, col vizio di tenere ancora parecchi soldini sotto la mattonella, avrebbe patito meno gli effetti della crisi finanziaria. Molto meno rispetto all’Islanda, ad esempio, che invece con le carte di credito ci paga anche il caffè da parecchio tempo. Morale: l’Islanda è in ripresa, l’Italia chissà. Il risparmiatore razionale nostrano dunque paga pegno due volte: uno perché quali che siano i piani di risparmio che decide di adottare l’esposizione in caso di crisi finanziarie resta, e due perché, pur volendo, non saprebbe in quale altro modo investire i propri soldi. Il popolo italiano infatti primeggia nelle classifiche di amalfabetismo finanziario.
Solo il 37 per cento degli italiani adulti può essere considerato “financially literate”, meno del Camerun e del Togo (38 per cento) e di Mauritius (39), laddove Francia è al 52 e Germania al 66 per cento.
Il 57% degli italiani non conosce il corretto significato del termine “inflazione” (era il 47% nel 2015) e percentuali ancor più alte si registrano tra coloro che ignorano le nozioni di base sui prodotti d’investimento più̀ diffusi. In pochissimi riescono a comprendere l’attuale andamento dei mercati e i nuovi fenomeni congiunturali primo fra tutti il bassissimo livello dei rendimenti sui titoli di Stato.
E del resto, al netto della presunzione di sapere cose che in realtà non si masticano per nulla, come altro potrebbe informarsi un cittadino medio se non col fai da te?
E come si può pretendere che uno presti orecchio se anche le massime autorità fanno a gara per non farsi capire, per parlare difficile, per edulcorare la realtà?
L’educazione finanziaria è una di quelle attività sbandierate ma mai attuate sul serio. Ad aprile del 2017 era partita sulla carta la costruzione della Strategia nazionale per l’alfabetizzazione finanziaria che Governo e Parlamento avevano deciso di lanciare con tanto di legge ad hoc. Poi, la legislatura è andata come è andata e le priorità sono diventate altre. Di nuovo.
Le soluzioni, in teoria, sarebbero semplici. Anche perche son quasi sempre le stesse: iniziare dalla scuola. Introdurre buone prassi nel settore, stimolando dei Docenti ad essere educatori, più attenti alla formazione delle persone che al trasferimento di contenuti strettamente curriculari. Utilizzare i benefici dell’e-Learning e la formazione continua per sostenere la qualificazione professionale
dei Docenti stessi. Nel proprio piccolo, poi, qualche passettino razionale verso forme di investimento semplici e poco rischiose è possibile farlo. Attraverso le app, ad esempio. Come Gimme5, che consente di investire a partire da 5 euro, va nella direzione di consentire a chiunque di muovere i primi passi nel mondo dell’investimento in fondi comuni. I fondi comuni d’investimento sono un prodotto che consente di investire sui mercati finanziari anche piccole somme, con i vantaggi offerti dalla diversificazione. Ovviamente anche tra questi prodotti occorre fare dei distinguo e prima di investire è ben porsi delle semplici domande:
Che tipo di rischio corro comprando questo fondo? Sono disposto a sopportare oscillazioni di mercato più o meno ampie?
Quali sono i costi del prodotto?
Quali sono i miei obiettivi di investimento?
Così si diventa consapevoli. Partendo dalle basi.