venerdì
9 MarDopo l’anno nero dello sport italiano si può ripartire cambiando volto alle istituzioni
Secondo l’Istat la popolazione attiva che svolge uno o più Sport in Italia è pari a 35,5 milioni di individui: a livello europeo è, percentualmente, uno dei valori più bassi in assoluto; di questo numero solo 11 milioni sono riconducibili direttamente al CONI, solo 4,5 quelli tesserati alle FSN e di questo numero il 55% è under 18.
In generale, però, l’Organizzazione mondiale della Sanità che sottolinea come l’inattività fisica sia un fattore chiave per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, diabete e cancro. Nonostante i tanti benefici di salute collegati al regolare svolgimento di attività fisica, secondo i dati del sistema PASSI 2017 più del 32% degli italiani è da considerare sedentario. Ci si muove sempre di meno, insomma, ed è praticamente scomparsa l’attività fisica all’aperto. E l’inattività fisica, com’è noto, incide anche sui costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria dovuti al negativo impatto sulla produttività e sugli anni di vita in buona salute persi.
Per risolvere un simile problema è necessaria innanzitutto una rimodulazione delle responsabilità del Ministero dello Sport con funzioni di Governo, e una nuova identificazione delle azioni e delle competenze del CONI che, al momento, non solo non controlla la maggioranza degli sportivi ma non è in grado di intercettare gli altri e promuovere l’attività sportiva in genere per far aumentare la pratica. La cartina al tornasole di un cortocircuito che inizia dalla mancanza di organizzazione sono le prestazioni sportive agonistiche.
Il 2017 è stato l’anno nero dello sport italiano soprattutto nelle competizioni di squadra, con l’atletica che è ormai ridotta ai margini, del rugby che nonostante i finanziamenti non riesce a produrre risultati, con la nazionale maschile di calcio che non parteciperà ai prossimi mondiali. È evidente che il flop dello sport italiano inizi già dalle ore di educazione fisica, e prosegua fino ai livelli agonistici complice anche la ripartizione irrazionale delle competenze.